Mi è sembrata necessaria ad una piena intelligenza storica, che andasse oltre i risultati delle biografie già disponibili, una più vasta e precisa ricontestualizzazione della vita del Roveretano: non una lettura solo e tutta interna al personaggio, alle sue vicende e allo svolgersi del suo pensiero, iuxta propria principia, ma un’interpretazione che vedesse tale vicenda e tale pensiero negli ambiti storici in cui nacquero e si realizzarono, a partire dalle sollecitazioni esterne dunque e in relazione al significato storico specifico che da tale collocazione essi venivano ad assumere […]. Ne è derivata quella che mi pare, se non sbaglio, un’interpretazione nuova: la prospettiva intellettuale rosminiana vista come risultato del difficile incontro e della relativa, personalissima, sintesi tra l’eredità del Settecento riformatore roveretano, nutrito di cultura muratoriana e di “illuminismo cristiano”, e l’indirizzo spirituale e intellettuale dello zelantismo romano, in particolare della sua parte riformatrice […]. La seconda scelta metodologica di fondo che ho creduto necessario compiere è stata quella di inserire la ricerca in una prospettiva storico-educativa. Il Roveretano cercò di riaprire il dialogo con la modernità su basi nuove e però con un chiaro intento educativo per riformare la società e la mentalità correnti: educare, in modo completo e pieno, l’uomo contemporaneo perché – in tutti gli aspetti della propria personalità, non escluso quello religioso – egli potesse realizzarsi e trovare la pacifica serenità di una felicità vera e non illusoria. Tuttavia per riformare l’umanità, cioè l’individuo e la società, bisognava riformare pastoralmente la Chiesa ma per far questo, a suo volta, era necessario riformare l’educazione del clero: da qui il suo sforzo come prete, come intellettuale vicino agli ambienti zelanti, come fondatore di un Istituto religioso che doveva in sostanza contribuire specificamente a tale riforma.
(dall’Introduzione)